Il mio dente del giudizio
“SOLITO”, perché lo fa quasi ogni domenica.
“PESANTISSIMO”, perché è convinta – e nessuno è mai riuscito a smuoverla da tale convinzione – che l’unica pasta che può sposarsi con il brodo sono i quadrucci fatti in casa da lei: piccoli parallelepipedi con lati rispettivamente di 5, 4 e 3 millimetri, per un totale di 60 millimetri cubici; data la quasi regolarità della forma di questo maledetto tipo di pasta, questi piccoli malefici cubetti si assemblano all’interno del brodo in una maniera quasi geometrica: il risultato, soprattutto se il piatto viene mangiato dopo essersi un po’ freddato, è praticamente simile ad un cumulo di mattoni riversati in una gettata di cemento, il che – come è noto – è qualcosa di ben poco digeribile.

Invece di un pentolino col cappuccino... pentolone col brodo! Che colazione sprintosa e gioviale...
“MALEDETTO”, perché riesce sempre a farlo in quelle domeniche in cui si pranza all’una e io mi sveglio all’una e dieci, avendo fatto – come ogni uomo ha il sacrosanto diritto di fare – tardi il sabato sera. Lascio immaginare quanto possa essere invogliante sentire, rincoglionito fradicio per i bagordi della sera prima, un delizioso profumo di brodo insinuarsi fin dentro le coperte. Se è vero che salendo al nord ci sono i tedeschi e gli inglesi che fanno colazione con wurstel o pancetta, credo che bisogna risalire ancora più a nord dei fiordi norvegesi per trovare un povero disgraziato che appena alzato manda giù quadrucci e brodo freddi. Sì, freddi, perché grazie ai poteri dell’inconscio, se mentalmente mentre stai a letto ti sembra che il tempo che è passato dall’istante in cui ti hanno chiamato per dirti che è pronto all’istante in cui ti sei vestito è stato di 5 minuti, in realtà nel mondo reale ne sono passati 15!
Arrivi, ti siedi ancora rincoglionito, incazzato perché ti hanno svegliato, imbestialito perché ormai l’unica differenza tra il cemento e il brodo è il colore, e – come se non bastasse – sta sicuro che non mancherà qualcuno che ti dirà: “ma non la smetti di fare così tardi la sera? Stai prendendo una brutta piega! Non c’avrai dato mica giù con la bottiglia?!” Ah, possa quell’incosciente predicatore ringraziare, ringraziare a gran voce quella bottiglia, perché se sono così rincoglionito e fuso da non rispondere è solo grazie a lei! Sì, è grazie a lei se mi astraggo da ogni evento esterno, ed è sempre grazie a lei che mi ritrovo la testa così pesante che la tengo chinata, senza alcuna forza di alzarla. E cosa vedo con la testa chinata? Sì, proprio LUI, il piatto di brodo condensato, che sta per solidificarsi; ci metto dentro il cucchiaio, provo a scuoterlo un po’, ma niente: riesco solo a smuovere una decina di quadrucci. Lo guardo bene, e mi riviene atrocemente alla mente qualcosa di simile che ho visto per terra nella serata alcolica precedentemente passata. Oh Santo Iddio! Però, poi, la mia bontà vince, e mi arrendo alle suppliche che il piatto mi sembra fare, dicendomi: “ti prego, mangialo! Se resterà ancora qui, si solidificherà a tal punto da diventare tutt’uno con la mia ceramica, e io finirò a fare da frisbee a pasquetta.” Ok, prendo una cucchiaiata, la porto alla bocca semiaperta e tremante, la faccio entrare titubante al suo interno, chiudo gli occhi e “amm”, giù, quasi fosse olio di ricino. Il brodo mi si sparge in bocca, ma per quanto sia solido, non lo è ancora abbastanza per non infiltrarsi là, proprio là, tra la gengiva e il dente di giudizio! Aaaaah! Bastardo!

I micidiali "quadrucci", da cui hanno tratto ispirazione i Lego...
Finito il brodo, tuttavia, non finisce l’incubo. Il peggio deve ancora arrivare. E’ il bollito… Carne sfilacciosa e fredda ormai anche essa, che per quanto si tenti di masticarla e triturarla, ci sarà sempre una malefica e dannata fibra di carne che puntualmente si infila fra un dente e l’altro; ma il peggio, è che tra queste ce n’è sicuramente almeno una che – quasi attratta dal liquido in cui è stata cotta – va prontamente a far compagnia dentro la gengiva al brodo che ci si era infilato prima.
Dopo questo strazio, prendo il caffè e corro in bagno: spazzolino, dentifricio, filo interdentale, collutorio, ma niente, niente… Lo spazzolino non entra nella fessura, il dentifricio a microgranuli ci entra, ma fa solo da tappo, il filo non è un punteruolo e quindi è inutile. Resterebbe il collutorio, ma cosa fa? Niente, toglie i microgranuli che facevano da tappo! Eh si, ormai l’infezione è iniziata!

Lo sfilaccioso bollito di carne...
Passano tre giorni, e nulla accade; al quarto giorno, giovedì, mi sveglio con un gonfiore; nei successivi tre, febbre a 38°: guarda un po’ il culo, sono venerdì, sabato e domenica! Il venerdì non penso di andare dalla dottoressa, nell’illusoria speranza che tutto sparisca da solo con un po’ di sciacqui di acqua e sale e aspirine; i due giorni successivi l’illusione svanisce, ma lo studio medico è chiuso. Lunedì la febbre passa, ma il gonfiore no: mi sveglio al solito all’una, e scopro che il turno era di mattina! Martedì, gonfiore passato quasi del tutto, vado dalla dottoressa.
Il turno inizia alle 17, e faccio lo sforzo di presentarmi un’ora prima per prendere il posto. Arrivo, ma la buona volontà non è premiata, perché nella gara delle visite mediche ci sono dei temibili avversari: le vecchiette, che visto che non hanno una minchia da fare, stanno lì dalle 14; in un paese le vecchiette si conoscono tutte, quindi usano lo studio medico alla stregua di un pub, dove chiacchierare dei bei tempi andati con le altre vecchiette. Ci vanno pure se stanno bene: è un’attività sociale. E io stronzo, che disgusto studi medici e ospedali, mi trovo a stare lì a rompermi i maroni mentre quelle si divertono.
Cerco un posto vuoto: almeno quello, con un’ora di anticipo, me lo sono guadagnato. Mi siedo, e guardo il muro. Passano 10 minuti, e prendo il mio merdoso Nokia 3330, che come giochi ha solo Bantumi, Snake e Pairs. Snake lo rifiuto per principio, e inizio con i fagioli di Bantumi: tempo 6 minuti 6, e lo spengo perché rischia di farmi addormentare e perdere così il turno. Passo a Pairs, e mi arrovello il cervello per ricordarmi la posizione di ogni fottuto simbolo insensato che la Nokia ha deciso di usare: il serpente, lo stivale, il muflone… MA CHE E’?! Passati 5 minuti, rifletto che non studio a memoria le formule all’università, e quindi per principio non posso certo imparare a memoria cose più inutili.

Le vecchiette, in attesa di chiacchierare...
Ore 16:30: lo studio inizia a riempirsi, e non si respira più.
Ore 17:00: arriva la dottoressa. Le vecchiette reagiscono alla sua entrata con un enfasi seconda solo all’arrivo del parroco al tabernacolo all’apertura della messa domenicale.
Ore 17:10: la prima paziente entra.
Ore 17:25: la prima paziente esce.
Ore 17:30: la seconda paziente entra.
Ore 17:50: la seconda paziente esce.
Ore 17:51: io, riflettendo sul fatto di essere all’ottavo posto, e avendo terminato i giochi sul cellulare, mi abbasso a prendere uno di quei giornali che più che scandalistici definirei scandalosi. La prima notizia è su Vallettopoli. La seconda su Zequila. Continuo a sfogliare, fino a quando vedo qualcosa che almeno può essere definito “interessante”, soprattutto se confrontato con le precedenti “notizie”: il culo della Gregoraci. Appena lo vedo, appena inizio a gustarne le rotondità, zac! Mi accorgo che la vecchietta vicino a me che fino a quel momento stava parlando con la sua vicina, sta con lo sguardo fisso sul giornale, e nell’istante dopo mi fissa scandalizzata, quasi fossi un pervertito. Io – come un ladro colto in flagrante – cerco di fare il vago, e giro le pagine successive, sempre piene di tette e culi, con la stessa velocità e disinteresse con cui sfogliavo le notizie su vallettopoli: cerco di mostrare che non mi fanno alcun effetto. Vabe’, niente, uno manco è padrone di guardare i culi. Il giornale finisce, e passo al secondo che ho preso, ma resto inorridito dalla scelta fatta: è Famiglia Cristiana!

Ore 18:20: inizia a piovere, e la vecchietta se ne esce con: “ah, comma’, nun ce stanno più le stagioni de ‘na vorda. Prima fa callu, poi piove, poi fa freddu. Pori fijetti nostri, che bruttu mondu”, e nel dire “fijetti nostri” volge lo sguardo a me. Io la leggo, la leggo la tua brama di attaccare discorso con me; lo vedo subito, dietro il tuo sorrisetto, che vuoi infilarmi in un discorso palloso in cui posso solo dire “eh già”, “che dovemo fa’?”, “era mejo quanno se stava peggio!”. Ma no, no! ‘Sta soddisfazione non te la do. Accenno un sorrisetto, poi mi giro subito a prendere il cellulare, con una faccia del tipo “hey, ho sentito vibrare qualcosa”, mentre in realtà ho la suoneria a palla, solo che non mi chiama nessuno! Lo tiro fuori, e inizio a scorrere un messaggio che mi sarà arrivato due mesi prima, e faccio finta di leggerlo con sorpresa. Fatto ciò, fingo di chiamare qualcuno. Siccome però non devo chiamare nessuno, e non mi va di buttare i soldi, che faccio? Siccome so che queste vecchiette fingono di essere sorde, io – furbo – per simulare una voce all’altro capo del telefono chiamo il 4916, che tanto è una settimana che sta fra le mie ultime chiamate! Inizio a inventare un discorso tipo “io sto qua dalla dottoressa, anzi fra un po’ tocca a me, fammi alzare va… Poi ti richiamo io.”, e così mi alzo e mi avvicino alla porta.
Ore 18:30: nello studio è pieno di gente malata, e quindi anche di bacilli. Nel frattempo, sento che il gonfiore non c’è quasi più.
Ore 18:40: finalmente arriva il mio turno. Entro, racconto la mia settimana di inferno, alché la dottoressa mi chiede di aprire la bocca. Prende uno stecchetto di legno, e me lo spinge sulla gengiva con violenza inaudita, e nel far ciò ha anche l’ardire di chiedere “ti fa male se spingo qua?” Certo che mi fa male, cretina! Mi farebbe male pure se non avessi infiammazioni! Me le farebbe venire, anzi! Dopo due o tre volte di questo ignobile test, mi fa: “vabe’, Mauretto, qui ormai non c’è niente. Guarda, adesso ti do’ un rimedio infallibile per far passare tutto.” Io, che ero andato lì col preciso intento di farmi fare una ricetta di potenti antibiotici che altrimenti da solo non avrei potuto comprare, credo che di essere giustificato nell’essermi un po’ incazzato quando la miracolosa medicina che mi suggerì fu: SCIACQUI CON ACQUA E SALE! Aaaah, maledetta! Come osi?! Dopo tutto quello che ho patito per venire da te, mi liquidi con un consiglio tanto insulso che anche un barbone del Tevere mi avrebbe dato, con la sua esperienza decennale in automedicazioni a basso costo?!
Ore 18:47: me ne vado, incazzato, a casa, e mi faccio i fottuti sciacqui.
Due giorni dopo: le due ore e quaranta minuti passate in quel lazzaretto mi hanno fatto contrarre qualche influenza di qualche dannato paziente che avrà impestato l’aria parlando di come le stagioni non siano più quelle di una volta. Ora mi rifarò un altro fine settimana a letto. Ma stavolta col cavolo che torno dalla dottoressa, e sapete perché? Perché la malattia da guarire sarebbe ormai abbastanza vicina alla fine per non farmi dare una cura potente, mentre per attendere il mio turno contrarrei di sicuro una nuova malattia i cui sintomi non sarebbero ancora abbastanza evidenti perché la dottoressa se ne accorga! Ma vaff….